Ricordare Italo e la sua vita significa ripercorrere una parte importante della storia del nostro Paese, della nostra comunità, di valori, ideali politici e sociali.
La conoscenza di persone come lui, la loro frequentazione in alcuni momenti quasi quotidiana, ti lascia un segno, modifica in profondità la tua vita, la caratterizza anche inconsapevolmente.
93 anni sono una bella età, “cominciano ad essere un po’ tantini” ci aveva detto scherzosamente qualche giorno prima di compierli.
Italo ha vissuto gli anni dell’oppressione della dittatura, la tragedia della seconda guerra mondiale e la lunga stagione della ricostruzione materiale e morale di un popolo.
Anni in cui c’è stata la resistenza, la lotta di liberazione, l’affermarsi del movimento operaio e contadino, le lotte sociali, sindacali e politiche per avvicinare a tutti a partire dai più deboli, migliori e più dignitose condizioni di vita e pari opportunità, di battaglie per un mondo migliore.
E tutti questi lunghi periodi di cambiamenti di trasformazioni, di contraddizioni, di difficoltà, di lotte perse e vinte sarebbero stati impossibili senza l’operare anche anonimo e silenzioso di tante donne e uomini, tra cui Italo.
La sua biografia, gli eventi che hanno contraddistinto la sua vita, a ripercorrerli ora, ne fanno un interprete pieno di quella storia e se ci riflettiamo impressiona ciascuno di noi, anche solo se pensa alla loro densità.
Italo era nato nel 1923, 7 mesi dopo la marcia su Roma; il suo primo impiego è stato a 14 anni in un’impresa che lavorava nello scavo dei pozzi artesiani e 3 anni dopo nel 1940 passa alla SAVA di Porto Marghera e da li iniziano i suoi primi contatti con alcuni antifascisti comunisti.
Si fa un fine settimana (sabato e domenica) in prigione perché non partecipava al sabato fascista in via Cappuccina a Mestre, all’ex GIL.
Nel 1942 viene chiamato coi bersaglieri a fare il servizio militare, siamo in pieno conflitto mondiale.
Prima in Sicilia e poi in Trentino Alto Adige a far la guardia alla linea ferroviaria del Brennero.
Dopo l’8 settembre il suo battaglione combatte 2 giorni contro i tedeschi, viene fatto prigioniero e insieme a tanti altri viene portato in Germania in campo di prigionia.
La sua grande fortuna è stata quella di non andare a lavorare agli alti forni ma in una officina.
Questo gli salva la vita, anche li si moriva tutti i giorni per le condizioni disumane di lavoro.
Un un’intervista di qualche anno fa, quando gli è stata consegnata una medaglia d’onore perché internato nei lager nazisti, Italo ricorda “quando sono arrivato si era circa in 700, ma solo in un centinaio siamo sopravvissuti. Alla mattina ti svegliavi e qualche tuo compagno era morto.
Avevamo l’ordine di raccoglierli e di metterli fuori della porta. Poi si arrangiavano i tedeschi”, e ancora in questa intervista: “consiglio ai ragazzi di studiare di più quel che è successo, quello che in tanti abbiamo dovuto vivere. Purtroppo si sta trascurando la storia, la memoria”.
Tornato in Italia nel 1945 lavora prima in una piccola officina, dove c’è oggi il liceo classico in Corso del Popolo e poi torna alla SAVA.
Qui rimarrà fino al 1972, anno in cui, a seguito di una delle prime organizzazioni industriali di Porto Marghera fu trasferito alla METALLOTECNICA, fino alla pensione.
Con il suo rientro in fabbrica dopo la guerra aderisce alla FIOM-CGIL, è membro della commissione interna e ufficialmente si iscrive nel 1947 al PCI.
Nel bel documentario “La fabbrica di Italo. Operaio di Marghera 50 anni di lavoro e di lotta”, fatto qualche anno fa dai compagni dell’allora circolo DS Piave-Altobello (la sua sezione)e in altri racconti che ci fa: Italo ci parla della sua fabbrica la SAVA.
Ne parla con orgoglio per il lavoro che dava, per la professionalità dei lavoratori, per la produzione, per il benessere che portava ma ricorda anche la fabbrica inquinata e polverosa (bauxite, soda caustica, l’amianto che era dappertutto).
Le lotte sindacali, gli scontri con la polizia, la forte politicizzazione, la grande conoscenza che si aveva dei processi produttivi che lo porta a organizzare i primi scioperi in una fabbrica a ciclo continuo senza rischiare di essere accusati di sabotaggio (e per molti era impossibile).
La fabbrica è anche una grande comunità.
Portano concretamente la solidarietà alle popolazioni colpite dall’alluvione nel polesine o al Vajont.
Solidarietà e coerenza due parole che hanno un grande significato nella vita di Italo e di tanti uomini e donne di quegli anni.
Un uomo che ha attraversato la lunga storia della sinistra comunista italiana.
Nella mia militanza politica ha sempre incarnato l’idea di un riformismo autentico, non ha mai rinunciato alla passione politica e al partito nonostante le amarezze che anche lui ha provato.
Italo aderisce con convinzione all’evoluzione del PCI con il passaggio al PDS dopo l’89 e poi ai DS e infine al PD, che per Italo costituiva l’incontro delle grandi tradizioni politiche popolari della storia italiana.
Italo si arrabbiava quando negli anni del nuovo partito non arrivavano le tessere perché ritiene che senza un’organizzazione, senza una comunità di iscritti e militanti non c’è un partito.
Italo è un punto fermo nel dare una mano, una presenza costante nella sua sezione e nella sede provinciale per tutto quello che serve fare in una grande organizzazione.
E ancora alle Feste de l’Unità fin dal 1947/48, il giornale che comprava tutti i giorni.
A tanti di noi ha insegnato come si costruivano, a montare un capannone, a tirare un tendone, ci insegnava anche a lavorare.
Ci impressionava la sua forza fisica,, la sua passione anche nei momenti di terrore che si viveva perché l’organizzazione della Festa era in ritardo.
Ma non è stata mai da meno la sua lucidità di analisi della realtà, la capacità di leggere i fenomeni sociali, sia nazionali e locali che alimentava quotidianamente con la lettura di giornali e libri.
Italo non ha mai smesso di conoscere, informarsi, di confrontarsi e discutere.
Considerava il rapporto quotidiano con le persone indispensabile nel far politica.
Con umiltà e tra la gente, la politica con la P maiuscola.
Italo ha fatto tante cose belle e importanti.
Italo una scelta di vita l’ha fatta, un’idea l’ha avuta e da riformista, da uomo di sinistra ha cercato di far diventare fatti i valori e gli ideali di libertà, uguaglianza e solidarietà.
In queste poche ore dalla notizia della sua scomparsa abbiamo ricevuto tanti messaggi di cordoglio.
L’ANPI che ne ha ricordato l’esempio di dignità e senso civico nella lotta per i diritti dei lavoratori.
E ancora “Italo un bellissimo esempio di generosità, di modestia e capacità” “Un compagno con la C maiuscola” “Ci mancherà il tuo esempio di serietà politica e rettitudine personale, da persone come te ho sempre imparato molto” “Il suo sorriso; senza se e senza ma” e tanti altri messaggi e ricordi.
Quando uno di noi che appartiene alla nostra comunità se ne va, tornano in mente le tante parole e discussioni fatte, le tante occasioni d’incontro, di frequentazione politica e soprattutto umana.
Ognuno di noi ricorda parole, gesti, strette di mano e in ognuna di queste Italo ha trasmesso qualcosa, ci ha aiutato nel nostro percorso e formazione politica.
Lo ricordo con la sua presenza attenta a Borbiago che coincideva con il suo ultimo compleanno ad un’iniziativa politica con Roberto Speranza.
Lo ricordo qualche mese dopo la scomparsa di Maria, sua moglie, volle consegnarmi la chiave della Federazione dicendomi “Michele ti restituisco le chiavi, non verrò più tutti i giorni, qualche volta tornerò e quindi devi saperlo”.
Nonostante le mie insistenze a tenere comunque le chiavi, disse che era giusto così.
In quel gesto c’era tutta la sua serietà, il senso di responsabilità e la sua affidabilità.
Grazie Italo per quello che hai fatto, per la tua passione, l’impegno politico e civico.
Grazie per averci dimostrato che non ci si può consegnare alle ingiustizie, alla lotta per la libertà, che dobbiamo costruire un mondo migliore.
Ai figli Emanuela e Fabio, ai nipoti il mio cordoglio e sono certo di tanti compagni e compagne, di Mirella, Chiara.
Ciao Italo!